Nel post precedente ho parlato del bleed nell’ambito del gioco di ruolo e delle sue ricadute sul gruppo di gioco. Considero quel post propedeutico a questo.
Per parlare di sistemi di sostegno della conversazione e di sicurezza, infatti, è utile sapere come il gioco può avere effetto su chi gioca.
Questo articolo è il secondo di tre. Nei paragrafi successivi parlo delle premesse che sono necessarie a comprendere appieno il senso dell’uso di strumenti di sicurezza e sostegno alla conversazione in gioco. Nel prossimo articolo parlerò di dinamiche, pratiche e strumenti veri e propri.
Vi è mai capitato di mettere per errore un capo colorato in mezzo a una lavatrice di bianchi? Beh, quelle lenzuola che non sono più bianche hanno subito il color bleed o scoloritura. Foto di taraghb da Pixabay
Introduzione
È capitato a molti e molte di noi almeno una volta. Quel momento, mentre giochiamo, in cui il personaggio prende il controllo e va avanti per conto suo. A prescindere da quello che vorremmo fare o da quello che potrebbe avere senso in un’ottica più razionale.
Ovviamente siamo sempre noi a controllarlo, ma qualcosa ci spinge ad agire in un modo che riconosciamo distintamente come proprio del personaggio.
Capita anche il passaggio inverso: quella situazione in cui le nostre circostanze personali influenzano le azioni del personaggio in gioco. Può succedere che si metta in gioco inconsapevolmente una tensione che è in realtà tra giocatori e giocatrici, ma non tra personaggi. Questo (ma non solo) è il bleed.
Sabato 8 febbraio 2020 sono stato invitato da Martu Palvarini di Asterisco Edizioni a Milano, in occasione di un evento per presentare Fuori dal Dungeon. Si tratta di un’antologia a cura di Martu stessa; raccoglie vari articoli tradotti in italiano che hanno lo scopo di affrontare la questione della rappresentazione di diverse identità marginalizzate nel gioco di ruolo occidentale.
Martu è anche l’autrice di Dura Lande, un progetto molto interessante attualmente in crowdfunding.
Nel corso del mio intervento ho fatto diverse riflessioni. Mi piacerebbe riprenderle al fine di elaborarle di più. Vorrei fissarle da qualche parte.
Si tratta di pensieri e considerazioni maturati nel corso del tempo:
giocando diversi giochi di ruolo fortemente tematici;
ascoltando le parole di designer con una consapevolezza politica profonda, in particolare Avery Alder;
approfondendo alcune tematiche femministe e LGBT+ durante la scrittura di Stonewall 1969.
In parte li ho già concretizzati in un’intervista pubblicata su GDR Time di gennaio scorso, ad opera di Daniele Di Rubbo di Geecko on the Wall.
Non si tratta, quindi, di riflessioni originali. Sono piuttosto mie rielaborazioni su temi ben più vasti e ampiamente trattati da altre persone, nell’ottica del gioco di ruolo quale mezzo per raccontare storie e influenzare la cultura.
Quella che segue è una mia rielaborazione di un intervento fatto durante una conferenza a Lucca Comics & Games edizione 2018, dal titolo Orgia Ludica: Nessun* Esclus*.
Quello di “inclusività” nei giochi di ruolo non è un argomento semplice, perché si può affrontare sotto molti diversi livelli di lettura.
Perché un gioco sia inclusivo non deve semplicemente inserire la rappresentazione di qualche realtà marginalizzata e renderla un elemento giocabile. Perché sia efficace dovrebbe dire qualcosa di questo tipo di realtà. Non basta, quindi, inserire personaggi gay per affermare che il gioco sia rappresentativo della realtà gay o inclusivo verso le persone gay.