Le caratteristiche del consenso
Il gioco di ruolo in quanto tale è un’attività volontaria. Si fonda sul presupposto che il gruppo voglia giocare proprio quel gioco, con quelle persone, con quei contenuti, quei toni e quei temi, con quell’impegno, in quel momento, con quelle regole e con quegli accordi specifici (impliciti o espliciti) che sono alla base dell’attività di gioco.
Tra regole e accordi dovrebbe sempre essere incluso anche come verrà gestita la conversazione al tavolo in caso di problemi. Andrebbe prevista anche una fase in cui si definiscono o ridefiniscono gli accordi, se dovesse rendersi necessario. Questa attività di accordo può essere più o meno breve o elaborata a seconda del gioco e delle sue richieste. Può andare da un messaggio su un gruppo Telegram o Whatsapp a una procedura prevista dal gioco, o anche a una Dichiarazione D’Intenti. Dipende dalle esigenze e il grado di accordo del gruppo.
Esprimere il proprio consenso significa essere d’accordo di giocare alle condizioni concordate, sapendo cosa aspettarci dall’esperienza al tavolo e dalle persone che giocano con noi.
Il consenso dato non è immutabile
Solo se tutte le persone che prendono parte al gioco sono allineate e informate, quindi, possono esprimere liberamente il proprio consenso a voler partecipare. Una volta dato, tuttavia, il consenso non rimane irrevocabilmente scritto su pietra. Durante il gioco si può cambiare idea oppure, al cambiare della situazione concordata in corso di gioco, può cambiare l’espressione del consenso. Esso infatti può essere espresso liberamente, revocato e rinegoziato in qualsiasi momento, a prescindere da come sono andate le cose fino a quel punto.
Le caratteristiche del consenso sono sempre valide in corso di gioco
Data la natura emergente del gioco di ruolo, le condizioni concordate per giocare possono cambiare in corso di sessione. Ad esempio, quando qualche giocatore introduce elementi che non erano preventivati, ma che sembrano avere senso in quel nuovo contesto. Oppure le situazioni giocate prendono una piega che è molto distante per toni e contenuti da quello che ci aspettavamo e non ci sta bene. In altri casi ancora, semplicemente quello che viene giocato in quel momento specifico non ci va bene perché ci colpisce più di quanto ci aspettassimo. Questo a prescindere che in altre circostanze analoghe non abbiamo sperimentato quel problema.
In che modo può cambiare la situazione?
Facciamo un esempio concreto. Un gruppo di gioco fino a questo momento ha messo in scena un gruppo di canaglie spaziali che lottano contro il sistema per sopravvivere. Immaginiamo una situazione come quella di Firefly, la serie TV. Un gruppo di contrabbandieri che devono sopravvivere con un lavoro sporco dopo l’altro, cercando di non farsi beccare. Fino a questo punto, il gruppo si è concentrato sull’aspetto relativo all’avventura: rapine, fughe dalle forze dell’ordine, combattimenti tesi e missioni pericolose.
Il gruppo non ha mai esplorato situazioni di intimità o in cui i personaggi sono emotivamente vulnerabili, perché non era questo quello che interessava giocare. Nell’ultima sessione, però, per svariate ragioni, il gruppo ha a che fare con un una vecchia conoscenza della ex-militare, ora mercenaria del gruppo. Un suo vecchio compagno d’armi con cui ha combattuto per diversi anni.
Il GM decide che l’ex compagno d’armi ha avuto dei trascorsi romantici con la protagonista e che sarebbe figo vederli in scena da soli. Pensando che sia un’idea interessante (e che anche in serie come Firefly queste cose succedono), mette direttamente in scena l’idea. Il vecchio compagno d’armi viene inquadrato in una scena in cui cerca di dare un bacio alla ex-mercenaria, “come ai vecchi tempi” . In fondo “mostrare” le cose anziché “raccontarle” è più d’effetto.
Non chiede al gruppo e alla giocatrice della mercenaria se sono interessati a questo sviluppo o se può andar bene. In fondo, anche se non si è mai giocato qualcosa del genere, ci sta, no? Diventa un modo per tenere alta l’attenzione e sorprendere giocatori e giocatrici.
Probabilmente capite già dove sto andando a parare. Non importa davvero come reagirà il personaggio della giocatrice. Se lei non voleva esplorare questo aspetto del suo personaggio e farlo la mette a disagio, non è detto che riesca a esprimerlo. E non è detto che il GM capisca in quel momento perché, anche se non agiva in cattiva fede.
Che in scena la giocatrice sia compiacente per pressione sociale o che reagisca male “rovinando” il momento per il GM, la situazione può diventare pesante. Sia perché viene esplicitamente sessualizzato un personaggio di cui fino a poco prima non si parlava in quei termini, sia perché non è quello che la giocatrice e il gruppo si aspettavano di giocare in quel momento.
Non è sempre immediato capire dove sia il problema
Si tratta di un insieme di condizioni che a volte può diventare difficile da districare. Possono infatti innescarsi dinamiche che scaturiscono dal tipo di situazione giocata in quel momento e dal coinvolgimento che provoca al tavolo. Oppure se si verificano situazioni in cui si agisce dentro il cerchio magico, ma l’obiettivo è una interazione con la persona nel mondo reale. Questo può succedere sia in maniera consapevole che inconsapevole.
“Come punisco un giocatore in gioco?”
Un esempio comune può essere quello della sessione che inizia a deragliare perché i giocatori al tavolo compiono azioni che per il GM sono illogiche. Azioni che magari fanno ridere o smontano l’idea di tono serio che il GM aveva in mente. Un esempio che ho visto spesso è l’agire in maniera irrazionale e violenta davanti a una figura di autorità, apparentemente senza altro senso che non fosse il riderne.
Capita di pensare che il problema si debba risolvere in gioco, magari mostrando le conseguenze dei gesti irrazionali, punendo così il giocatore tramite il personaggio. Eventualmente anche calcando pesantemente la mano. Il problema è che questo approccio non è solo il meno indicato, ma di solito non funziona.
Si tratta di un problema che va risolto fermando il gioco e cercando di capire insieme cosa non sta funzionando, comunicando.
Il problema, in questo caso, è probabilmente di aspettative e di accordo su cosa giocare e come. Su che tipo di impegno si vuole e a quali priorità hanno le persone al tavolo. Non sempre si gioca “per il gioco”, ma a volte anche solo per la compagnia. E il gioco diventa il pretesto per bere una birra insieme raccontando qualcosa di leggero che diverte tutti. Non è necessariamente sbagliato, se tutte le persone al tavolo sono d’accordo così. Diventa un problema se non tutto il gruppo è d’accordo.
A volte la soluzione può diventare non giocare insieme ad alcuni amici. Per quanto possiamo volere loro bene, non siamo davvero interessati a giocare le stesse cose. E va bene così.
Queste riflessioni sono da tenere a mente perché le dinamiche sociali del gruppo hanno invariabilmente un’influenza e un riflesso anche sull’universo narrativo del gioco.